sabato 4 settembre 2010

Il papà dei buchi neri contro Hawking. Remo Ruffini: "Arroganza incredibile, la fisica è meraviglia"

Remo Ruffini
Roma. «Poiché esiste una legge come la gravità, l’universo può essersi e si è creato da solo, dal niente. La creazione spontanea è la ragione per cui c’è qualcosa invece del nulla, il motivo per cui esiste l’universo, per cui esistiamo noi», e dunque «non è stato Dio a creare l’universo». Le tesi contenute in The Grand Design, nuovo libro di Stephen Hawking in uscita il 9 settembre, non mancheranno di riaprire il fitto crepaccio che da secoli, a ogni nuova alzata d’ingegno, divide in cordate uguali e contrarie pasdaran della scienza e oltranzisti della fede. Un autentico buco nero, che pochi potrebbero sondare meglio di Remo Ruffini, docente di fisica teorica presso La Sapienza di Roma, che proprio dei buchi neri è considerato padre e scopritore. «È quasi un autentico disastro. Conosco Stephen, sono stato coautore con lui di un libro sui buchi neri, ma la lettura di questi primi estratti mi ha lasciato assai perplesso. Un giorno gli chiederò quanto è farina del suo sacco, essendoci anche un’altra firma dietro questo libro», dice a liberal lo scienziato. «Come disse Kant, ci sono due cose che destano meraviglia: il cielo stellato sopra di noi, e la legge morale dentro di noi. La fisica è quel cielo pieno di stelle che si affaccia ai nostri occhi, ed essa non risponde dei “perché” ma cerca il come. Essa non sonda le leggi morali dentro di noi, che pure ci appartengono in quanto umani. E lo scienziato non deve negligere che l’essere umano ha dentro di sé l’urgenza morale di cercare il senso della propria esistenza. Potremmo descrivere l’universo come una macchina perfetta, identificandone ogni meccanismo in modo inesorabile. Lo spiegò a suo tempo il filosofo di Königsberg: anche la rappresentazione scientifica pià compiuta, non esaudirebbe il perché della sua esistenza, della sua origine e del suo destino. E anzi, occorre dire che più si va avanti nella ricerca scientifica, più il mistero di queste leggi che pure crescono enormemente di numero da un anno all’altro, si estende. La vera sfida della fisica non è contenuta nella materia, ma nelle leggi che la governano. Perciò il vero problema della cosmologia è identificare queste leggi. Inoltre, la determinazione di queste leggi e la loro vastità non può che stimolare la riflessione sul perché della loro esistenza. Non c’è nessuno più dell’astrofisico, che dovrebbe provare meraviglia di fronte al cosmo. Nelle parole di Hawking, seppure stento a crederci, c’é un’arroganza concettuale incredibile. Molte discipline infatti, dalla storia all’economia, dalle lingue all’antropologia, sono attraversate da leggi differenti in rapporto al tempo e al luogo in cui sono state poste. Tutte le discipline tranne la fisica, che nonostante l’immensa mole di leggi scoperte, è l’unica materia dello scibile che è composta da leggi uniche e complementari, che non sono in contraddizione tra loro ma lavorano ciascuna in funzione dell’altra, nonostante la ricerca scientifica abbia vissuto l’era di Newton, quella di Einstein, e quella quantistica. Non si è trovata ad oggi una sola legge fisica in contrasto con l’altra, ed il loro processo di sintesi è stato uno dei momenti pià importanti della conoscenza umana. La verità è che più spieghiamo l’universo, più noi fisici ci rendiamo conto di quanta bellezza e quanta complessità sia contenuta nelle leggi che lo presiedono. Il tessuto concettuale che regola l’universo è fantastico e non puo essere assolutamente paragonato a nulla. Ciò che personalmente non posso continuare a dimenticare è chiedermi il “perché” che pulsa in questa nostra conoscenza, al di là del mio lavoro quotidiano di scienziato. Più la conoscenza avanza, e più questo “perché” diventa drammatico e nella mia opinione necessario. Tanto quanto è necessaria la musica, l’arte, la filosofia e la religione per un essere umano».

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