sabato 14 marzo 2009

Più scuro di mezzanotte:la discesa di Salvo Sottile negli inferi della mafia corleonese


Leggere il libro di Salvo Sottile equivale a cadere in ostaggio dello spavento. La materia narrativa ribolle certo di sangue, spari, lacrime e rimpianti. Ma ciò che atterrisce davvero, in questa irresistibile discesa nella mafia corleonese, è la sensazione di una parabola sghemba. Una corsa in punta di penna, dentro a un labirinto senza uscita. In una Sicilia di cartapesta, claustrofobica, dove persino la bellezza scivola via in un vortice di terrore, c’è la paura di sbandare, di cogliere un riflesso di se stessi da un vetro in frantumi. Il dolore di una donna fiera e sensibile, Rosa Martinez, che il giorno delle nozze prende marito, senza sapere di accogliere in grembo la morte. La lotta di Elvira Salemi, magistrato volitivo che ingaggia una lotta con se stessa, divisa fra passione e giustizia. E poi i boss, Gaspare Occhiuzzo e Nino Giaconia, fiere fameliche in cui affiorano i segni di un’umanità deforme. Maschere truci e nobili, misere e generose, quelle tratteggiate da Sottile. Ma maschere nude. Volti che affiorano da un velo tetro, e portano in faccia un sudario di rabbia e di sogni infranti. In esterni, l’azione secca e incalzante, ne scolpisce le parti in commedia. Ritmo e costruzione della sequenza non danno tregua. In interni, dialoghi feroci ne disegnano un lessico familiare salottiero e fuorviante, che ne scava il terrore e li rende muti. La tragedia greca a braccetto con il teatro dell’assurdo. Un’umanità doppia, incapace di sopravvivere senza le luci del palcoscenico, che affida all’ultimo respiro un singhiozzo di verità tardiva. Pentimenti e delitti, giochi a scacchi con la fiducia, la scelta continua di un alleato, di un cuore sincero, di un amico. Forse, più segretamente, di un’altra vita. Nelle pagine di Più scuro di mezzanotte il linguaggio del coro si disarticola in frasi smozzicate, in carinerie fasulle e imperativi ineludibili. La parola si eclissa in recita. Ciò che conta è uccidere gli altri. Scoprire, troppo tardi, di aver ammazzato se stessi. Fuori da quell’immensa liturgia scenica che è la mafia, dove solo i colpi di pistola sono veri, esiste però il coraggio di strappare il sipario. Schiacciati da vite volute, sbagliate, strozzate, i personaggi si dibattono in un duello all’ultimo respiro. In un mondo che è ormai il cuore di tenebra di un’Italia intera, la scelta, sembra dirci Sottile, è una sola. Morire di spavento, o guarire.

Da Moby Dick, sabato 14 marzo 2009

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