venerdì 30 gennaio 2009

Il lavoro nobilita, il precariato offende, ma quello che le fa girare davvero sono le bugie di Veltroni


















Recita un versetto del Talmud che se il mare fosse inchiostro e le canne fossero penne, le nuvole fossero pergamene, e tutti gli uomini fossero scribi, tutto questo non basterebbe per spiegare la difficoltà di governare. Similitudine appropriata, o persino riduttiva, rispetto alla sfrontata e ridondante ipocrisia di Walter Veltroni sul tema dei precari. Non basterebbero i blog, i cahiers de doléance, le strombazzanti filippiche de Il Giornale, le sonnolente orazioni di Dario Franceschini, i concistori di ulivisti revisionisti e dipietristi scissionisti, per rendere giustizia dell’ineffabile paternalismo menzognero del leader del Pd. Perché a parole, in lettere strazianti in cui si erge a paladino dei giovani precari, oggi, e adulti sprecati, domani, Uòlter sembra resuscitare gli ardori civili con cui Ignazio Silone decantò l’epica battaglia dei cafoni in Fontamara. E nei fatti, essendo un romanziere con il vezzo della politica, lascia i suoi giovani (e)lettori con gli occhi pieni e le mani vuote. Che il lavoro nobilita e il precariato offende la dignità dell’essere umano, Veltroni lo declama a gran voce e lo scrive su tutti i muri con l’euforia di un Jovanotti giovanilista e stempiato. Quello che si dimentica di capire è che se il lavoro nobilita, il suo dignitarismo compassionevole con cui liscia il pelo dei giovani, smobilita definitivamente la galassia over 20 che ha creduto per qualche istante in quel pasticciaccio brutto chiamato Pd. Il partito del lavoro, dell’innovazione, della nuova politica. Nei fatti solo il compimento del Veltrusconi e dell’inciucismo condito da una retorica riformista senza costrutto, ricolma però di celluloide e lustrini.

La cronaca vecchia e semivecchia parla chiaro. Se dalle parti del Pdl la sola indicazione fattiva sul precariato è affidata alla provvidenza manzoniana di un buon matrimonio, il sugo della storia del leader del Pd, può sintetizzarsi nella figura di Don Abbondio. Veltroni è un vaso di coccio, tra tanti vasi di liquame. La veltroneide può essere illustrata a casaccio. A novembre 2007, ad esempio, in carica il governo Prodi, un oltremodo stizzito Franco Giordano, allora segretario di Rifondazione, contesta il protocollo sul welfare. Subissato di scomuniche, accusato di giudaici complotti, Giordano è l’unico a ricordare agli esponenti della coalizione che il programma sui precari è rimasto lettera morta. «Non è più possibile che vi sia qualcuno che si tiene sempre le mani libere e altri che devono invece portare sempre la croce dell' essere responsabili», sbottò allora il rifondarolo. La battaglia del Prc sul protocollo è in quel momento una questione squisitamente politica, e il Pd, nonostante la miracolosa brevità della gestazione, mette subito in luce il suo principale pattern genetico: la mossa dello struzzo che affonda la testa nella sabbia. «Veltroni, dov' è Veltroni? – si chiede sconsolato Giordano – Parla tanto di giovani quando polemizza con noi che ci battiamo contro lo scalone, ma ora che si tratta di difendere i precari e stabilizzarne il lavoro, il segretario del Pd stranamente tace». Niente di strano, perché dietro lo strappo di Palazzo Chigi sul protocollo c’è lo zampino di Uolter. O meglio di mister Poltrona Frau, Luca Cordero di Montezemolo. La Confindustria non gradisce i progetti sui precari, e Veltroni si appecorona subito. «Dopo aver passato mesi a parlare dei diritti dei "giovani" adesso sono spariti. Dove sono Veltroni e gli altri ora che serve combattere contro l' uso sistematico dei contratti precari?», cantilena Giordano a conclusione della sacrosanta geremiade. Un fantastico déjà vu che ci riporta ai nostri giorni. Con la differenza che allora Veltroni era al governo. Figuriamoci adesso che è il leader di un governo ombra e chiede un salario minimo di 1000 euro per i precari. In pratica una favoletta. Quella di una mosca cocchiera che si pregia però di un involontario e spassosissimo humour. Entertainer giovanile di giorno, maggiordomo di Confindustria alla sera. Anche nel luglio 2007, Veltroni tuonò contro il sistema che uccide il futuro dei valorosi giovani nostrali. «Ci sono precari con laurea e master che lavorano nei call center, e che vengono licenziati – tuonò – e c' è gente che non sa fare assolutamente nulla e che per questo vince molti denari». Tanta delicata empatia verso i lavoratori a cottimo dei call center, veri e propri schiavi, prigionieri di un cortocircuito politico-economico criminale, Veltroni l’aveva maturata nel 2006. I lavoratori dell’Atesia, colossale call center noto come il più grande lager giovanile d’Italia, si riversano in Campidoglio per chiedere all’allora sindaco Walter Veltroni, un intervento a favore della loro stabilizzazione, promessa e rinviata dai datori di lavoro con impareggiabile sfacciataggine. Dal 1989, «per logiche di mercato», Atesia ha scelto di non contrattualizzare nessuno a tempo indeterminato. Come a dire: sarebbe un autentico spreco, pagare qualcuno che sta male o che si azzarda a pensare a un giorno di ferie. Veltroni naturalmente non muove un dito, e l’apprezzamento per le politiche della Sinistra in materia di precari non manca di manifestarsi i primi di novembre del 2006. «Ministro Damiano, il tuo conflitto di interessi si chiama Tripi», urlano i Cobas della Telecom da un’auto rossa che ha le parvenze di un telefono ambulante. "Tripi è il padrone di Athesia, il call center con tremila precari solo a Roma", specifica un volantino. "Amico dei padroni, vattene", lo omaggia un altro volantino. Damiano, ministro ed esponente di spicco della sinistra riformista di Walter Veltroni, ingoia amaro. L' ex no global Agnoletto, fa notare che c’è un abuso di figure retoriche dietro la protesta. «Amico dei padroni è persino una gentilezza», declama con una rapida e involontaria illustrazione della litote. «Damiano è servo di Confindustria». La ricetta di Uolter e della sinistra riformista per i giovani precari è insomma abbastanza chiara. Il lavoro nobiliterà pure, per carità. Il precariato offenderà senz’altro. Ma di grazia, quello che le fa girare davvero, è la presa per i fondelli.





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