giovedì 22 gennaio 2009

George W. Bush. Dove eravamo mentre quest'uomo dirottava la sua idiozia contro il nostro futuro?


«I poveri non sono necessariamente assassini. Solo perché ti capita di non essere ricco, ciò non significa che tu voglia uccidere». Meno male che l’infinita grazia del Signore abbia concesso al suo unto, nonché portavoce, George W. Bush, una straripante e incontenibile ricchezza. Essendo un assassino, un criminale di guerra, un pluriomicida capace di spezzare la vita di un milione e duecentomila civili iracheni, risulta difficile immaginare quali eucaristici olocausti Walker Texas Ranger avrebbe potuto portare a compimento, se invece di essere il figlio incapace e inadeguato di un già mediocre presidente come il padre, fosse nato povero e non necessariamente assassino. Un paternalismo imbevuto di benevolenza dickensiana, che non ha risparmiato a lui, curioso come George, la tipica deriva da bignamino repubblicano: alcool, gioco d’azzardo e dulcis in fundo, l’abbraccio della Fede. Un abbraccio purtroppo mortale, che nel nome dell’Altissimo, del Bene contro il Male e di altri sublimi concetti tratti da due o tre blockbuster hollywoodiani, ha ridotto l’umanità in ginocchio. Saremmo però sin troppo spietati, a credere George responsabile dell’incredibile numero di disastri perpetuati in qualità di Commander in Chief. «Io ho fiducia che Dio parla attraverso di me. Senza questo, non potrei fare il mio lavoro», ha spiegato un giorno a una comunità amish. Come a dire che lui è solo il sicario, e che il mandante è Gesù Cristo. E’ comprensibile come ostacolare un progetto divino di tale entità fosse impresa disperata, per chi si limita all’olio di gomito e alle scarne risorse del semplice intelletto medio, ma l’impero di Bush e le sue nefandezze si sono susseguite per ben otto anni con un coefficiente di difficoltà mistico. Una ridda di azioni irresponsabili, arroganti, proterve e del tutto prive di fondamento, sospinte da un gigantesco cortocircuito mediatico fondato sulla menzogna e sulla pressione politica che l’ha imposta come verità. Un sistema perverso che ha eletto l’idiozia e l’ignoranza a forza motrice del mondo, e il silenzio e la falsità alla sua legittimazione. A pochi giorni dalla sua fine, l’era di George Walker Bush, è costellata da improperi e ammiccamenti, da mezze frasi ironiche e indignate denunce del suo operato, da veleni e frecciate di ogni genere. Noi giornalisti siamo come gli scarafaggi: usciamo allo scoperto quando è ormai tutto buio, la nostra tana è al sicuro, e la denuncia memoriale scoppiettante di retorica. Tutto ormai inutile, signori. Abbiamo abboccato anche noi, in buona o in cattiva fede. Noi giovani soprattutto. Dove eravamo, mentre George Bush dirottava contro il nostro futuro i missili letali della sua idiozia? Dove eravamo, mentre Mr President ordiva, come probabilmente è accaduto, con la sua setta neocon, gli attacchi dell’11 settembre? Eravamo impegnati con le nostre armi di distrazione di massa, eravamo in ginocchio a pregare il Cowboy della Fede, il Gendarme del Santo Sepolcro, di punire Allah per la sua sanguinaria ferocia. Eravamo a mani giunte, adoranti, a recitare l’atto di Fede dinanzi alle notizie deliranti di Fox news, ai programmi televisivi di casa nostra asserviti alla gigantesca menzogna. Ipnotizzati di fronte a una realtà catodica strumentalizzata, schiacciati e proni a chiedere salvezza di fronte al Grande Palcoscenico costruito perché battessimo le mani con la coda tra le gambe e il bavaglio in bocca. Eravamo tutti a leggere fiabe, eravamo tutti a leggere La mia capretta, per poi mostrarci stupefatti dinanzi agli orrori di Guantanamo, alle intercettazioni illegali di migliaia di americani per cui nessuno oserà portare a termine l’impeachment, per le rendition illegali e i waterboarding, per l’assistenza sanitaria gratuita negata ai bambini poveri statunitensi, per le valanghe di dollari riversati nelle tasche di banche e bancari responsabili di qualcosa come cento milioni di nuovi poveri in tutto il pianeta, per gli studi sull’effetto serra manipolati dallo staff presidenziale di George, per la mancata adesione al protocollo di Kioto, per le migliaia di soldati americani mandati al macello perché allettati dall’idea di salvare le proprie vite di stenti, per i disastri in Iraq e Afghanistan, per le città cimitero ridotte in polvere, per i milioni di dollari ufficialmente destinati alla ricostruzione finiti invece nelle tasche della società petrolifera di Dick Cheney. No signori, non c’eravamo. Mentre George W. Bush faceva crollare le torri della nostra civiltà, lasciando morire nel fango milioni di persone, e milioni di vite rimaste seppellite nel fumo della morte e della povertà, eravamo tutti a leggere La mia capretta. Ed è una ben magra consolazione, per noi tutti, gridare adesso a squarciagola: Go Home, American Idiot. Non siamo stati capaci di travolgerti, dittatore sanguinario. Ci penserà la valanga della Storia.

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