Performance inquietanti come quelle messe in atto dal professor Battaglia ad Anno Zero, ci dicono che l’Italia ospita un’incredibile stoa negazionista, finalmente riportata alla luce dopo il disastro di Fukushima. Tutti i signori coinvolti a vario titolo nell’operazione, sostengono infatti che il disastro nucleare di Chernobyl sia stato invero un’insulsa montatura, che alla voce vittime si possano contemplare una o due persone al massimo, e che i luoghi interessati dal disastro siano tranquillamente abitabili. (Li sfidiamo a prendervi residenza con i propri figli). Dati interessanti, non c’è che dire, specie se confrontati con la testimonianza del giornalista Pavel Nica, che per scrivere Chernobyl. La tragedia del XX secolo (Nuovi equilibri, 122 pagg. 12 euro) direttamente dai luoghi della tragedia, ci rimise le penne a causa delle terribili radiazioni assorbite nel corso dell’inchiesta. In seguito a quel 26 aprile 1986, che segnò uno spartiacque nella storia del Pianeta, Nica si recò sul posto con sprezzo del pericolo, ostinato a registrare la catastrofe di persona nonostante le pressioni di cari e amici, e quelle assai meno amichevoli di chi voleva censurarne il lavoro. Eppure neanche la sua morte bastò per onorarne la memoria. Il muro di gomma sorto intorno alla sua opera restò intatto, e il libro inedito. A quasi vent’anni dalla compilazione, avere l’opera nella nostra disponibilità significa pertanto ritrovare un testimone scomodo a scavare nelle nostre coscienze, e specie in quelle di chi non c’era. Storie di dolore, di morte, di macerie tornano finalmente a galla nelle acque salmastre di un dibattito disonesto, mosso sovente da squallidi interessi e personaggi discutibili. Conforta quindi, in questo prezioso racconto, che la parola sia restituita a chi sa di che cosa parla. E di che cosa è morto.
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